Francesco Rutelli: «Roma puo' essere la palestra italiana per la città del futuro» di Elisa Grando

Il Presidente dell’Anica e consigliere dei David di Donatello racconta il suo libro “Tutte le strade partono da Roma”, riflettendo sulle sfide della Città Eterna e sulle trasformazioni del cinema al tempo della pandemia


A sedici anni Francesco Rutelli è in sella alla sua moto nuova. È in Piazza di Porta Maggiore e guarda in superficie il garbuglio di vie trafficate e rotaie, pensando a quello che c’è sotto: la basilica neopitagorica, con le sue decorazioni in stucco realizzate duemila anni prima. Una compresenza sorprendente di passato, presente e futuro, come accade su tutto il suolo di Roma: seguendo questa suggestione, il giovane Rutelli decide di iniziare un viaggio che attraversa le strade e le epoche della Città Eterna, portando alla luce la sua stratificazione storica, sociale e urbanistica. Lo racconta ora nel libro Tutte le strade partono da Roma, edito da Laterza, che è prima di tutto un emozionante cammino personale mosso dall’amore per la capitale, fra intrecci millenari e infinite ricostruzioni, dalla fondazione alla pandemia. In un certo senso, potremmo dire, da Il primo re a Bangla, passando per Ben Hur: Rutelli, Presidente dell’Anica, socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo dei David di Donatello, si interroga sulla traiettoria della città ma anche del cinema.


Francesco Rutelli, com’è nata l’idea del libro?

Durante il lockdown ho provato a ripercorrere mentalmente le strade che avevo studiato, attraversato come esperienza fisica, vissuto da sindaco, con l’obiettivo di ritrovare tracce di Roma in ogni parte del mondo. Tracce simboliche, o materiali: ovunque, quando si cerca un modo iconico per rappresentare la contemporaneità, ci si riferisce ancora a Roma. Qualche giorno fa uno dei grandi quotidiani americani ha definito “crossing the Rubicon” la scelta di una Major di far uscire i nuovi film anche in streaming. Hanno nomi romani molte parole legate alla tecnologia come “digitale”, “video”, “audio”, addirittura si è dato un nome latino, “diem”, alla criptovaluta di Facebook. “Tenet” di Christopher Nolan ha scelto per titolo la parola centrale di un’espressione palindroma latina, “sator, arepo, tenet, opera, rotas”, proprio per dare peso al proprio mistero. Infinite le implicazioni commerciali: per attirare il pubblico nella metropolitana di Seul, hanno ricostruito la fontana di Trevi in una stazione. Potrei continuare: i rimandi, le simbolicità sono infiniti.


Come vede la Roma del futuro?

Come è sempre stato: noi romani ci sentiamo i dannati del presente ma si è cambiata la storia quando si è avuta la lucidità di cogliere le opportunità trasformative. Nel Ventesimo secolo ci chiedevamo se fosse meglio la “città compatta”, il cui modello era New York, descritta come Gotham City, o la “città sparsa”, rappresentata da Los Angeles come una piacevole città giardino. Alla fine del secolo però abbiamo scoperto che la città compatta aveva virtù, come socialità, trasporti pubblici e servizi più accessibili, mentre l’altra diventava luogo di auto-isolamento. Oggi, a causa del Covid, queste valutazioni sono saltate. Roma potrebbe quindi essere la palestra che sperimenta la sintesi creativa fra la città compatta e la città sparsa, perché è tutte e due le cose insieme. In altre metropoli, come Londra, si riscoprono i valori di “Suburbia”, comunità che prima erano solo dormitori. Roma era l’unica città al mondo con un milione di abitanti già nel secondo secolo: la sua dimensione attuale riflette le contraddizioni e le opportunità di questa storia incredibile. Paradossalmente, in Italia è l’unica che ha la dimensione per consentire una rinascita programmata sul crinale tra compattezza e sparpagliamento privo di “effetto-città”.


Roma, nel suo libro, è anche il cinema che la attraversa. Oggi che la produzione audiovisiva è delocalizzata anche in altre città italiane, e la distribuzione è globalizzata con l’arrivo delle piattaforme, che ruolo ha Roma sul piano internazionale nello sviluppo dell’audiovisivo?

Il ministro Dario Franceschini ha annunciato di voler raddoppiare gli spazi di Cinecittà: a saperla realizzare, è una decisione colossale, un salto concettuale di insediamento urbanistico, funzionale e di capacità competitiva  della quale l’Italia deve dimostrarsi pronta. Da Presidente dell’Anica, ad esempio, ho organizzato un incontro con i capi internazionali di ViacomCBS, il primo gruppo al mondo per fatturato nel settore audiovisivo, perché stanno decidendo se insediarsi in Italia, o in altri paesi, per avviare un hub produttivo europeo -  ViacomCBS, come del resto Disney e Netflix, hanno aderito all’Anica. Questo non significa, però, che sia per forza necessario un accentramento, anzi ho sempre sostenuto la moltiplicazione delle localizzazioni e delle funzioni dell’industria cineaudiovisiva. Abbiamo puntato sulla crescita di Milano, di Napoli, del ruolo importantissimo della Cineteca di Bologna, non solo attraverso le film commission: sono convinto che serva un ecosistema produttivo e creativo diffuso nell’intero paese. Alcune delle funzioni però, per esigenze competitive devono essere aggregate, mentre altre volano da sole sulla rete, anche nelle esperienze produttive legate al web.


Quale scenario vede per far uscire il cinema dalla crisi della pandemia?

Dobbiamo difendere la sala con una progettualità, non riproponendo gli schemi di 30 anni fa. Deve migliorare la qualità di tutta la filiera, dalla produzione all’esercizio. La sala non morirà, ma è sfidata da un’aspettativa accresciuta perché sono aumentati i contenuti con fruizione alternativa. La funzione di Anica è proprio essere piattaforma di filiera: per questo siamo difensori dell’esperienza della sala ma anche del rapporto con i broadcaster. Abbiamo accolto Netflix e altre piattaforme, come Timvision o Chili, perché la filiera dovrà governare questi processi con dialogo e senso di responsabilità. L’integrazione fra questi mondi competitivi dovrà esser guidata da una regolazione sapiente.


C’è un’idea che vorrebbe portare ai David di Donatello?

Mi piacerebbe valorizzare, magari con un premio pluriennale, le nuove professioni legate al cinema e alla tecnologia. C’è una duplice esigenza: primo, sottolineare come il cinema sia parte delle trasformazioni che stiamo vivendo, e che anche l’Anica cerca di interpretare creando l’Academy, un’attività formativa di alto livello per i mestieri rivolti all’internazionalizzazione dell’ecosistema. Secondo, rendere visibili i lavoratori del cinema evidenziando quanto vale il lavoro nella filiera, che resiste nonostante la criticità e le limitazioni del periodo. Dovremmo fare in modo che tra i premi dei David si metta in rilievo, insomma, anche la ‘maestria delle maestranze’, per dare un segnale al grande pubblico che non è solo il settore delle star, ma di straordinarie professionalità delle nuove realtà digitali, e di quelle artigiane, operaie, di lavoro di squadra.