SPECIALE ASPETTANDO IL DAVID69


VINCENZO MOLLICA: «IL CINEMA MI HA INSEGNATO A CAPIRE MEGLIO LA VITA» di Elisa Grando

«Da quando non ci vedo più seguo i film con maggiore attenzione: ho capito che il cinema si può anche ascoltare», dice il grande giornalista, scrittore e conduttore televisivo che il 3 maggio riceverà il David Speciale. Dopo 40 anni di carriera, è certo che una cosa non sia cambiata: «Per fare un buon cronista ci vogliono ascolto e umiltà». E ora torna al cinema anche da protagonista con un docufilm sugli ultimi anni di vita di Federico Fellini 


«Ascoltare l’artista e capirne le emozioni: è stata sempre la mia regola principale»: Vincenzo Mollica sintetizza così, semplicemente, il segreto che l’ha reso il cronista di spettacoli più amato d’Italia. Da quarant’anni racconta il cinema, la musica e il fumetto agli addetti ai lavori e agli spettatori, unendo gusto pop e competenza: da quando è in pensione dal Tg1, lo fa dal suo profilo Instagram. Il 3 maggio riceverà il David Speciale anche per come ha saputo avvicinare il pubblico al grande cinema, passando per la sua sconfinata passione, intatta anche ora che ha perso la vista: «Da quando non ci vedo più seguo i film con maggiore attenzione: ho capito che il cinema si può anche ascoltare. Ennio Morricone una volta mi disse: “Ora che non ci vedi seguirai meglio le colonne sonore, e soprattutto capirai meglio la scrittura del cinema, come le parole e le note si combinano in un risultato sorprendente”. Il cinema mi ha aiutato a crescere dal punto di vista umano, culturale ed emotivo, perché è uno specchio dell’avventura umana. Attraverso i film dei registi che ho amato ho imparato a capire meglio la vita, una vita che vale la pena di essere vissuta». E Mollica sta per tornare al cinema, questa volta da protagonista, con un docufilm da lui ideato e co-prodotto da Atomic e Rai Cinema sugli ultimi anni di vita di Federico Fellini.

Oggi che spettatore è?
«Con Andrea Camilleri abbiamo perso la vista più o meno nello stesso periodo. Mi ha detto: “Vincenzo, ricordati che la memoria diventerà più vivida. La cosa principale è non perdere mai la memoria della tavolozza dei colori”. Ogni tanto nella mia memoria ripasso qualche film: nella mente posso rivedere il finale di Tempi moderni, Totò alla fontana di Trevi, Troisi in Ricomincio da tre. Mi rivedo l’amatissimo Marcello Mastroianni e Sophia Loren, i miei attori preferiti. La poesia del volto della Magnani. Questa memoria mi aiuta a rendere meno grigio quello che non vedo».

Lei è amato in ugual modo dal pubblico e dagli artisti. Cosa fa per lei un buon cronista?
«L’ascolto e l’umiltà. Un bravo cronista non mette mai il proprio io al centro di un racconto. Ci vogliono passione, curiosità e fatica per fare bene questo mestiere. Credo molto nel servizio pubblico, nel far capire a chi ti ascolta le parole raccolte in intervista. Ho avuto la fortuna di lavorare alcuni anni con Enzo Biagi per Linea Diretta: vederlo era come andare al cinema, aveva una naturalezza nel fare il suo lavoro. È quello che dovevo inseguire, con semplicità, forza d’animo e correttezza».

Cosa significa per lei questo David Speciale?
«È arrivato come un bellissimo regalo, un’emozione perché il David di Donatello è il cinema. Devo dire grazie alla gente del cinema, agli artisti, alle maestranze che mi hanno accolto sempre con grande benevolenza e consentito di fare il mio lavoro seguendo la traiettoria della mia passione».

Lei è stato amico di Morrione e Camilleri, ma è nella leggenda anche la sua amicizia con Fellini…
«Quando vinse l’Oscar alla carriera mi chiamò alle 6.30 dicendo: “Vieni subito in Piazza del Popolo che ci vediamo, perché mi hanno chiamato da Los Angeles”. Era il 20 di gennaio, il giorno del suo compleanno. E lì accadde una cosa bellissima: un gruppo di zingare si mise ad applaudirlo, i tassisti scesero dalla macchina e suonarono i clacson. Per la prima volta ho visto commosso anche Federico: era come se avessimo vinto tutti insieme questo Oscar».

È vero che non voleva andare a ritirarlo?
«Aveva deciso di non andare a Los Angeles, voleva fare un filmato che avrei potuto portare all’Academy. Venne a Saxa Rubra al TG1, vestito col suo smoking, e registrò questo discorso di un minuto in inglese. Partii per Los Angeles per portare il filmato all’Academy ma, una volta arrivato, mi dissero: “Grazie, ma ci ha telefonato stanotte che viene”. Federico aveva deciso di accontentare Giulietta, che ci teneva e aveva comprato un vestito bellissimo».

Un altro momento leggendario è la famosa intervista in cui teneva Roberto Benigni sulle spalle…
«Benigni è un poeta dell’arte cinematografica che ha meravigliose radici chapliniane dentro di sé. Da quando ho cominciato a fare interviste con lui, all’inizio degli anni ’80, mi sono sempre consegnato in segno di resa: bisogna godersi la sua imprevedibilità. Il mostro era diventato il film più visto nella storia del cinema italiano in quel momento, ci siamo visti all’Aventino in un albergo. Roberto disse: “L’intervista la facciamo all’ingresso”, e come un gatto mi saltò sulle spalle. L’intervista è durata sette o otto minuti, si divertiva a non scendere».

C’è stato mai qualcuno più difficile da intervistare?
«Non ho mai incontrato nessuno particolarmente ostico, anche perché io non arrivavo mai con domande precotte. Non ho mai considerato le mie domande più importanti delle risposte. Ascoltare l’artista e capirne bene le emozioni, per poi poterle raccontare, è stata sempre la mia regola principale. Sono un “cronista impressionista impressionabile”. C’è gente più o meno simpatica, ma ogni artista porta dentro di sé una persona nascosta dal personaggio, che a volte si rivela in maniera più generosa».

Cos’ha visto cambiare della sua professione in quarant’anni?
«Molto, dal punto di vista tecnico. Quando sono entrato al Tg1, nel 1980, c’era un macchinone da scrivere Olivetti e si sentiva nella redazione un ticchettio pazzesco. Alla metà degli anni ’80 sono arrivati i primi computer, il ticchettio quasi sinfonico è sparito. Sono partito dalla pellicola e sono arrivato a oggi, quando basta un telefonino. Questa evoluzione però non cambia la sostanza del nostro lavoro di cronisti: raccontare il cinema con le sue emozioni, le sue verità, le sue immaginazioni».

Procedendo per leggende, lei è riuscito anche a diventare un personaggio di Walt Disney, Vincenzo Paperica. Da dove nasce il suo amore per il mondo disneyano?
«Da tre mesi a 7 anni ho vissuto in Canada, vedevo i cartoni animati Disney già da allora. Il primo che ho amato follemente è “Paperino cacciatore di autografi”: Paperino arrivava a Hollywood e incontrava i grandi attori, da Greta Garbo a Clark Gable. Se dovessi dire il personaggio a cui mi sento di assomigliare di più è proprio Paperino cacciatore di autografi. Quando è accaduto che Andrea Pazienza mi disegnasse come Vincenzo Paperica e Giorgio Cavazzano ne facesse 15 storie uscite su “Topolino”, ho realizzato il mio sogno: c’era anche una storia in cui Paperica seguiva Paperino a Hollywood».

Nonostante sia in pensione, continua a raccontare l’arte attraverso il suo profilo Instagram…
«In casa ho un’operatrice di primo livello, mia moglie Rosa Maria. Quando mi viene voglia di fare qualche filmato le chiedo se mi fa la ripresa. Metto su Instagram quello che mi passa per la testa. La voglia di raccontare non mi è passata, né quella di immaginare, e allora ogni tanto faccio qualche piccolo scarabocchio nella mente. E si va avanti».