photo @ Andrea Avezzu - Credits: La Biennale di Venezia - foto ASAC


ALBERTO BARBERA: «A VENEZIA IL CINEMA ITALIANO È IN STATO DI GRAZIA: HA CAPITO CHE SUL MERCATO GLOBALE CONTA SOLO LA QUALITÀ» di Elisa Grando

Il direttore della Mostra del Cinema anticipa la 78. edizione, la seconda dall'inizio della pandemia: al Lido rivedremo le star di Hollywood e opere da 59 paesi diversi. I film italiani, però, saranno tra i grandi protagonisti: ecco perché

«In Italia siamo in un momento di effervescenza produttiva che non si registrava dagli anni '60»: Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema di Venezia, sta per inaugurare un'edizione mai così ricca di cinema italiano, con 28 titoli spalmati nelle diverse sezioni, tra i quali i cinque in corsa per il Leone d'Oro. Ed è entusiasta della selezione: «Sono film completamente diversi l'uno dall'altro, non riconducibili alla grande tradizione del cinema italiano ma originalissimi, personali, imprevedibili. Una sorta di sperimentazione che sta producendo nuovi frutti e che dà indicazioni positive per il futuro del cinema italiano».

Direttore Barbera, ha detto che il cinema italiano è in stato di grazia: perché?
Per due motivi: il primo è che siamo in un momento di grande effervescenza produttiva, forse bisogna tornare agli anni '60 per trovare una situazione analoga. È una conseguenza della richiesta di prodotti nuovi che alimentano un numero crescente di piattaforme, di un circuito virtuoso che si è messo in movimento. Il secondo motivo è che sono stato colpito dalla qualità dei film, che è cresciuta.

Da cosa dipende?
È come se i produttori, dopo anni di altalena tra investimenti puramente quantitativi e qualitativi, avessero capito che quello che paga oggi in un mercato globale di grande competizione è soltanto la qualità a tutti i livelli, di sceneggiature, regia, scenografie, modelli narrativi, attori. I film di Venezia mi sembrano particolarmente belli perché i registi hanno dato il meglio di sé, forse anche sotto la spinta della pandemia.

In generale, che Mostra ci aspetta?
Ci sono film per tutti i gusti e per tutti i tipi di pubblici. Oggi il pubblico si è frammentato, ciascuno cerca il tipo di cinema che gli interessa: questa diversificazione si riflette anche nella produzione, e la ritroviamo a Venezia col ritorno del cinema hollywoodiano, il grande cinema di genere, i musical, il western, la commedia, l'horror, la fantascienza, il thriller, quelli che una volta si chiamavano i film politici, i film d'autore come quelli di Paolo Sorrentino, Jane Campion Pablo Larrain, Pedro Almodovar, Paul Schrader, Ridley Scott e tanti altri. Più della metà dei titoli però sono di autori sconosciuti perché Venezia non rinuncia a fare un lavoro di esplorazione margini del cinema. Le opere provengono da 59 paesi diversi, e poi tornano le star di Hollywood: a parte pochissime eccezioni, tutti i protagonisti dei film saranno presenti sul red carpet di Venezia.

Abbiamo dovuto abituarci ai festival online o ibridi, ma quanto conta ancora la magia del tappeto rosso ?
Per evitare assembramenti non potremo avere un red carpet aperto al pubblico, ma non credo alla formula ibrida o online per i grandi appuntamenti come Venezia, Cannes, Berlino, Toronto, il Sundance. L'ibridazione è stato uno strumento obbligato durante il primo lockdown, potrà essere utilizzata per certe attività collaterali o masterclass, ma la presenza fisica è un elemento costitutivo della natura del festival con tutti i suoi rituali. Fare un festival online diventa solo una forma di distribuzione alternativa dei film.

Quest'anno quali saranno le restrizioni e le accortezze più importanti del protocollo anti-Covid?

Ci eravamo illusi di tornare alla normalità, invece abbiamo gli stessi vincoli dello scorso anno: mascherina in sala per tutto il tempo della proiezione, riduzione della capienza delle sale del 50%, obbligo di prenotare le proiezioni con posto assegnato. La novità è l'esibizione del green pass, che dal punto di vista logistico complica le cose: per facilitare chi non ce l'ha organizzeremo almeno una dozzina di tende attrezzate per effettuare i tamponi. Abbiamo notato che, per fortuna, il 90% delle persone che richiedono l'accredito possiedono il green pass. Chi lo mostrerà al ritiro dell'accredito verrà registrato dal sistema e automaticamente, all'ingresso in sala, avrà il semaforo verde esibendo solo la prenotazione del posto. Chi invece non ha il green pass deve mostrare ogni volta il certificato di tampone effettuato.

Quali sono i titoli più sorprendenti di questa edizione?

Tralasciando il concorso e i film più attesi, come Dune, fuori concorso cito Last Night in Sohodi Edgar Wright, inaspettato per la capacità di contaminare i generi e di sorprendere lo spettatore con le sue invenzioni narrative. In Orizzonti Extra il più inconsueto è The Blind Man Who Did Not Want to See Titanic, scritto da un attore colpito da una malattia paralizzante che sta perdendo mobilità e visione. Racconta la storia, inventata da lui stesso ma che potrebbe aver vissuto, proprio dal punto di vista del protagonista, costantemente fuori fuoco, non vediamo quello che lui non vede, ma nonostante questo crea una tensione fortissima che si scioglie solo nel finale. Sempre in Orizzonti ci sono À plein temps di Eric Gravel con Laure Calamy, la protagonista della serie Call my agent, film su una donna diretto da un uomo con una grande partecipazione, e 107 madri girato in un carcere femminile dell'Ucraina dove le detenute possono avere con sé i figli. Il regista slovacco Peter Kerekes, è un documentarista che ha passato molti anni a contatto con queste donne che vivono in una condizione di estrema difficoltà. E ancora il bellissimo ritratto femminile di coproduzione kosovara, macedone e albanese, Vera Dreams of the Sea, opera prima della regista Kaltrina Krasniqi, oppure Amira del regista egiziano più promettente, Mohamed Diab, che infatti è stato catturato dagli americani per dirigere una serie negli Usa. Parla di una situazione che quasi tutti ignoriamo: il fatto che molti figli di donne palestinese siano stati procreati nonostante il marito sia nelle carceri israeliane, facendo uscire clandestinamente il seme del padre per inseminare le madri.