PICCOLI FILM CRESCONO: IL CORTOMETRAGGIO ITALIANO TRA MERCATO INTERNAZIONALE, NUOVE PROSPETTIVE E LA SFIDA DELLE PIATTAFORME di Elisa Grando

Una ricognizione sul mondo dei film brevi insieme a Giulio Mastromauro, vincitore del David di Donatello 2020 per il miglior cortometraggio.

Nella tempesta scatenata dalla pandemia nel mercato cinematografico, il cortometraggio sta continuando coraggiosamente a navigare. Nonostante il Coronavirus gli abbia sottratto il suo circuito di visibilità per eccellenza, quello dei festival in presenza, passo dopo passo il mondo del corto sta vivendo una vera e propria rivoluzione: a raccontarlo è Giulio Mastromauro, vincitore del David di Donatello 2020 per il miglior cortometraggio con Inverno, votato dalla giuria ristretta formata da Andrea Piersanti, Giada Calabria, Francesca Calvelli, Leonardo Diberti, Paolo Fondato, Elisabetta Lodoli, Enrico Magrelli, Lamberto Mancini, Mario Mazzetti, Paolo Mereghetti.

Mastromauro è anche distributore di film brevi con la società Zen Movie: nel suo catalogo compaiono tra gli altri Bismillah di Alessandro Grande, David di Donatello per il miglior corto nel 2018, e Le mosche di Edgardo Pistone, premio alla miglior regia alla scorsa Settimana della Critica.


Che cosa significa oggi, in Italia, essere un distributore di cortometraggi?
Ci occupiamo essenzialmente di vendite tv e festival. Naturalmente dove possibile si cerca la sala, anche grazie all’appoggio della Fice. Ma sono convinto che siamo ancora a metà strada: il mondo del corto non ha ancora espresso il suo massimo potenziale. Il ruolo delle istituzioni è fondamentale: bisogna che sappiano riconoscere progetti e artisti emergenti che meritano supporto. Inverno, per esempio, è stato prodotto in maniera indipendente perché al Ministero non è stato giudicato all’altezza del finanziamento.


Esiste davvero oggi un mercato italiano per il cortometraggio?
Sì, ma deve diventare più forte dal punto di vista dell’economia che può generare. Il mercato internazionale è vivo e fatto di vari canali: i market nei festival internazionali, gli industry days, gli eventi dedicati al corto dove si creano davvero incontri tra produttori e buyers. Rispetto a quattro anni fa, quando è nata Zen Movie, c’è stata una piccola rivoluzione in termini qualitativi e quantitativi.


Che tipo di rivoluzione?
Inverno è il mio quinto corto: coi precedenti succedeva che vincevi un premio a un festival, tornavi a casa e si spegnevano le luci. Ora c’è la vendita tv, la stampa fornisce visibilità che prima non dava. Oggi il corto italiano con una vocazione internazionale è diventato un prodotto interessante per gli altri paesi, anche se rispetto ai prodotti esteri ha un budget minore e per essere prodotto deve appoggiarsi ancora su risorse personali. Rafforzare il mercato vuol dire rendere il prodotto italiano esportabile.


Di quali strumenti ha bisogno il cortometraggio per fare un salto di qualità, anche commerciale?
Bisogna creare una domanda nel pubblico anche attraverso l’educazione al cortometraggio nelle scuole, distinguendo tra quello professionale e quello amatoriale. E poi è importante che diventi sempre più facilmente fruibile: ci sono migliaia di canali, a volte si fatica a rintracciare i contenuti.


E le grandi piattaforme streaming?
Il corto sarebbe un contenuto economico per televisioni e piattaforme, se volessero aiutare a produrlo o dargli visibilità, ma ai broadcaster come Netflix e Sky per ora sembra non interessare. Se si creasse un canale dedicato, o se le grandi piattaforme cominciassero a mettere nella library delle storie avvincenti brevi, il mercato ne gioverebbe. Raicinema in questo senso è lodevole: è l’unica realtà italiana che acquista cortometraggi e li rende fruibili al pubblico tramite Raiplay e Rai Cinema Channel.


I premi aiutano?
Sono fondamentali. Vincere un premio come il David di Donatello è di per sé un’esplosione di visibilità. Ma a volte i registi premiati hanno dovuto poi gettarsi nuovamente nella giungla. Per anni si è detto che il corto è un biglietto da visita: facciamo sì che lo diventi davvero, dando concretezza al percorso che inizia con un premio.


Lo stop ai festival in presenza ha influito sul mondo del cortometraggio?
Certo. I corti arrivano in sala proprio attraverso i festival. Le manifestazioni hanno dovuto reinventarsi online, perdendo magia e togliendo opportunità agli autori in termini di incontri professionali, visibilità e vendite. La modalità online è servita ad affrontare il momento e forse, col tempo, si rivelerà una strada per potenziare il segmento, ma mai un’alternativa.


Che ruolo ha oggi il corto come genere cinematografico in un mondo in cui la tecnologia ha reso possibile a tutti la creazione di contenuti brevi?
Siamo in una fase 2.0 rispetto alla situazione precedente in cui chi girava un corto aveva Youtube come unica possibilità di visibilità. Ora si è fatto un salto in avanti, anche grazie alla selezione delle distribuzioni. A Zen Movie riceviamo ogni anno 1200-1300 corti da tutto il mondo e ne selezioniamo dai 20 ai 40, cercando di lavorare su una line up eterogenea ma con la linea editoriale della qualità, spesso con un messaggio di sensibilizzazione rispetto a una tematica o un momento storico.


Inverno affronta il tema della perdita: è la storia, vista dagli occhi di un bambino, di una famiglia di giostrai che deve affrontare un momento doloroso.
È una storia autobiografica che affonda le proprie radici nella mia infanzia. Ho voluto ambientarla fra i giostrai greci perché cercavo un luogo reale che mi riportasse indietro nel tempo, fatto di persone vere, di una comunità in cui fosse ancora sentito molto il senso della famiglia, della condivisione legata anche al lavoro. Ho incontrato Giulio Beranek, attore figlio di giostrai che mi ha introdotto al suo mondo, e me ne sono perdutamente innamorato.


Il corto, quindi, non solo come anticamera al debutto nel lungometraggio…
Certo: un corto è un bellissimo spazio di libertà. Dà la possibilità, anche con pochi mezzi, di scegliere la propria storia e gli attori attori senza obblighi, di trovare la voce che ogni autore ha dentro di sé. Il corto non è una palestra, ma un momento di esplorazione e di ricerca.