Tutti in sala, al 100%: siamo attori, ma anche spettatori di Elisa Grando

Dall'11 ottobre è tornata la capienza piena per sale cinematografiche e teatri: un segnale importante per tutto il mondo del cinema. Vittoria Puccini, presidente di Unita - Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo, e Paolo Calabresi, consigliere dell'associazione, ci raccontano cosa significa per gli artisti. E perché la partita, ora, è tutta da giocare

«Per gli artisti di Unita il ritorno alla capienza piena delle sale è una felicità immensa: ora sta a noi ripopolarle»: così Vittoria Puccini, presidente di Unita, commenta la decisione del governo di eliminare le restrizioni sull'occupazione del numero di posti a sedere in cinema e teatri.
Unita, l'associazione di categoria fondata da più di 100 interpreti del teatro e dell'audiovisivo, da mesi incentiva attivamente il ritorno del pubblico in sala, «anche con uno spot, realizzato insieme al Ministero della Cultura, agli esercenti e ai produttori, per raccontare al pubblico che possiamo tornare a vivere tutti insieme, da artisti e da spettatori, l'emozione unica e irripetibile di un film visto al cinema». Ma è adesso, fra l'autunno e l'inverno, che si combatte la battaglia più importante sul piano del box office, mentre le produzioni si sono moltiplicate. Sia Vittoria Puccini, presidente di Unita, che Paolo Calabresi, consigliere dell'associazione, rispondono al telefono dal set: Vittoria sta girando la commedia Praticamente orfano, insieme a Riccardo Scamarcio, Paolo la quarta stagione di Boris.
 
Per Puccini, la decisione del governo determina un cambio di passo anche nella percezione degli spettatori: «Il fatto che non ci siano più restrizioni è l'ennesima dimostrazione che, seguendo le norme di sicurezza, non c'è pericolo a vedere un film o uno spettacolo insieme, e che cinema e teatri sono luoghi sicuri. Come Unita ora sta a noi ripopolarli: è importante continuare a promuovere la sala, come stanno facendo molti artisti anche sui loro social».

La capienza al 100% è solo il primo passo di un ritorno alla normalità: «Dal punto di vista simbolico ha un significato importante, restituisce fiducia. Ma adesso sono cavoli nostri», sorride Paolo Calabresi. «Ora quelle sale bisogna riempirle. Ed è la cosa più difficile: veniamo da due anni in cui la gente si è abituata ancora di più a stare su un divano e vedere un film con persone che vanno e vengono dalla cucina. Il settore si deve impegnare a fare quadrato: la strada è in salita, ma assistere insieme a uno spettacolo è un gesto di condivisione collettiva che ha anche un alto valore sociale».

La sala è mancata a tutti, dicono Puccini e Calabresi, perché gli attori sono anche spettatori, ognuno col suo rituale personale: «Da quando ero ragazzina andavo al cinema con i miei genitori e mio fratello, oggi amo andarci in coppia e con mia figlia: è qualcosa che ha a che fare con la famiglia, un momento unico che attraversa più generazioni», afferma Puccini.

«Sono sempre andato al cinema, anche in tournée», racconta Calabresi. «Negli anni '90 a Milano facevo il mio primo spettacolo, L'avaro di Giorgio Strehler con Paolo Villaggio, nel ruolo piccolissimo del deus ex machina che entra alla fine e risolve la faccenda. Lo spettacolo durava tre ore e mezza: alle 19.45 mi presentavo al Teatro Lirico, salutavo tutti, mi facevo vedere dal direttore di scena. Poi di nascosto, ancora col costume addosso, uscivo da una porta di sicurezza, andavo al cinema e tornavo alle 22.30 poco prima di entrare in scena. Non riesco a stare senza cinema».